Il primo capitolo del mio romanzo.

Avevo infilato la sveglia sotto il cuscino la sera prima per non disturbare la mamma, non era ancora l’ora ma avevo gli occhi spalancati, talmente ero teso per la sorpresa che volevo farle. Presi dalla scrivania la mia torcia elettrica cinese nichelata, sfilai la sveglia da sotto il cuscino, la illuminai, erano le cinque meno un quarto, pigiai il pulsante per non farla squillare, poi tolsi dallo schienale della sedia gli abiti che avevo preparato fin dalla sera prima, mi vestii velocemente, ma con grande attenzione per evitare i rumori. Infilando i pantaloni colpii inavvertitamente la sedia con un piede, urto il tavolo ma per fortuna non si ribalto, socchiusi la porta della mia stanza con estrema cautela, pur sapendo che non avrebbe cigolato perché il giorno prima avevo spalmato le cerniere con il grasso lubrificante. Andai alla credenza, aprii molto lentamente il cassetto in mezzo, presi le grandi forbici da sarto che mia madre usava per tagliarmi i capelli, poi feci scattare la serratura Yale taroccata sulla porta d’ingresso e uscii cercando di essere il piu silenzioso possibile, fino alla prima curva delle scale scesi senza fretta, ma da li in poi mi scapicollai giu per i gradini. Quando arrivai di sotto, davanti al nostro palazzo, ero tutto accaldato, mi diressi verso il piccolo parco perché era la, nell’aiuola ornamentale accanto alla fontana, che crescevano i tulipani piu belli della citta.
Da oltre sei mesi vivevamo senza papa eppure, all’inizio, sembrava fosse partito per stare lontano una sola settimana, era andato in una stazione di ricerca vicino al mare per una questione urgentissima, al momento del congedo mi aveva detto che gli rincresceva tantissimo non potermi portare con sé perché il mare in quella stagione, nel tardo autunno, era uno spettacolo indimenticabile, assai piu furioso rispetto all’estate, con gigantesche onde gialle che si schiantano sulla riva e creste di schiuma bianca ovunque a perdita d’occhio, ma, Nessun problema, mi promise che quando fosse tornato a casa avrebbe portato anche me e me l’avrebbe fatto vedere, non riusciva a capacitarsi che avessi ormai dieci anni passati e non avessi mai visto il mare, com’era potuto accadere?, Vabbe fa lo stesso, disse, rimedieremo, rimedieremo a questo e a tutte le altre cose che sono da rimediare, non bisogna mai aver fretta, ci sara un sacco di tempo per fare tutto perché abbiamo l’intera vita davanti a noi; era una delle frasi preferite di papa, anche se il suo significato preciso mi era sempre rimasto un po’ oscuro, e poi, quando non torno piu a casa, ci ripensai parecchio, spesso riaffioro anche quell’addio, il momento in cui lo vidi per l’ultima volta con i colleghi che erano venuti a prenderlo su un furgone grigio; io ero arrivato da scuola nell’istante esatto in cui stavano partendo, se non fosse saltata l’ultima ora, quella di scienze naturali, non li avrei neppure incontrati; erano appena saliti sul furgone quando sopraggiunsi, andavano di fretta, i colleghi di papa non volevano lasciarlo parlare con me, ma papa li aveva redarguiti in tono duro, Non dovete fare una roba del genere, sapete che cosa significa avere figli, anche voi ne avete, e cinque minuti in piu o in meno non fanno alcuna differenza; a quel punto, uno dei colleghi, un tizio con un completo grigio, alto, capelli bianchi, aveva scrollato le spalle dicendo, Massi, chissenefrega, cinque minuti effettivamente non fanno alcuna differenza; allora papa era venuto verso di me, si era fermato di fronte, ma senza accarezzarmi, né baciarmi, perché per tutto il tempo aveva tenuto la giacca con entrambe le mani davanti a sé, e stando in quella strana posizione mi aveva spiegato la questione del mare, sottolineando che c’era urgente bisogno di lui in quell’istituto di ricerca, sarebbe rimasto laggiu una settimana e se la situazione fosse risultata molto grave magari anche un po’ di piu, insomma finché non avesse sistemato le cose, poi aveva cominciato a raccontarmi altre storie a proposito del mare ma il suo collega alto con i capelli bianchi si era avvicinato a noi, aveva appoggiato la mano sulla spalla di papa dicendo, Ora venga signor dottore, i cinque minuti sono passati, bisogna proprio andare altrimenti perdiamo l’aereo; papa allora si era chinato, mi aveva baciato sulla fronte, sempre senza abbracciarmi, no, non mi aveva abbracciato affatto, mi aveva detto di badare alla mamma, di fare il bravo bambino, perché dato che ora sarei stato io l’uomo di casa avrei dovuto rimboccarmi le maniche, e io gli avevo risposto, Si va bene, saro bravo, ma riguardati anche tu; il suo collega allora mi aveva strizzato l’occhio dicendo, Non preoccuparti, ragazzino, ci prenderemo cura noi del signor dottore, poi aveva aperto la portiera laterale del furgone, aveva aiutato mio padre a montare a bordo e a sedersi, nel frattempo l’autista aveva avviato il motore e non appena la portiera si era richiusa alle spalle di mio padre erano partiti, io avevo raccolto la mia cartella di scuola, mi ero girato e mi ero avviato verso l’androne, perché avevo un nuovo bottone per la mia squadra di calcio da tavolo, un attaccante, e non vedevo l’ora di provarlo per capire se sulla tela cerata scivolava bene come sul cartone, e cosi non ero rimasto a salutarlo agitando la mano, non avevo seguito il furgone con lo sguardo, non avevo aspettato che scomparisse in fondo alla via. Mi ricordo chiaramente il volto di papa, non si era rasato, puzzava di sigarette, sembrava molto, ma molto stanco, e aveva un sorriso sghembo come una smorfia, in seguito ho ripensato parecchio a quella scena e alle sue parole, e non credo che allora sospettasse di non tornare piu a casa, la settimana successiva avevamo ricevuto soltanto una lettera, ci scriveva che la situazione si era rivelata assai piu grave del previsto, purtroppo, per questioni di sicurezza nazionale, non poteva fornire maggiori dettagli, ma avrebbe dovuto trattenersi laggiu ancora un bel pezzo e se tutto fosse andato bene entro un paio di settimane avrebbe forse ottenuto uno o due giorni di vacanza, per il momento, pero, c’era bisogno di lui ventiquattr’ore su ventiquattro. Dopo di che ci aveva spedito qualche altra lettera, ogni tre-quattro settimane, e ogni volta scriveva che entro breve tempo sarebbe tornato a casa, ma poi non e tornato neanche per Natale, a Capodanno l’abbiamo aspettato invano, ormai era aprile e avevano cessato di arrivare persino le lettere, avevo cominciato a pensare che papa fosse per davvero fuggito all’estero, come il padre del mio compagno di classe Egon, che aveva attraversato a nuoto il Danubio ed era andato in Iugoslavia, e poi in Occidente, e da quel giorno non aveva piu ricevuto sue notizie, non sapeva neppure se fosse ancora vivo.
Passai da dietro, dietro il blocco dei palazzi, perché non volevo incontrare nessuno, non volevo certo che qualcuno mi domandasse dove stavo andando alle prime luci dell’alba. Alla fontana, per fortuna, non c’era anima viva, e cosi scavalcai tranquillo la catena, entrai nell’aiuola in mezzo ai tulipani, tirai fuori le grandi forbici e cominciai a tagliare i fiori, molto in basso, li tagliavo a pelo del terreno perché mia nonna una volta mi aveva detto che piu il gambo e lungo e piu durano, poi la cosa migliore e togliere subito le foglie e tutto il resto, ero partito con l’idea di raccogliere soltanto venticinque fiori, ma verso il quindicesimo persi il conto e cosi continuai a tagliarne, uno dopo l’altro, la giacca e i pantaloni si erano inzuppati di rugiada, ma non me ne fregava nulla, pensavo a mio padre, pensavo che anche lui aveva fatto piu o meno la stessa cosa ogni anno, anche lui probabilmente aveva tagliato i tulipani in quel modo ogni primavera, la mamma mi aveva raccontato un mucchio di volte che papa aveva chiesto la sua mano presentandosi con i tulipani, l’aveva corteggiata con mazzi di tulipani, e aveva festeggiato tutti gli anniversari di matrimonio con i tulipani, ogni 17 aprile le faceva la sorpresa con un gigantesco bouquet, la mattina, quando lei si svegliava trovava i fiori ad aspettarla sul tavolo della cucina, sapevo che ora sarebbe stato il loro quindicesimo anniversario e volevo che la mamma avesse un mazzo piu grande di tutti quelli mai ricevuti prima.
Avevo colto cosi tanti tulipani che riuscivo a malapena a tenerli insieme, quando provai a stringermi i fiori contro il petto il mazzo si scompose tra le mani, posai allora i tulipani per terra, scrollai la rugiada dalle forbici e continuai a recidere uno stelo dopo l’altro, nel frattempo pensavo a papa, aveva sicuramente tagliato i fiori con quelle stesse forbici, mi guardai le mani, provai a immaginare le mani di papa, ma invano, perché vedevo soltanto le mie mani affusolate e bianche, le mie dita nell’anello di metallo consunto delle forbici, beh, insomma, in quel momento apparve all’improvviso un vecchio signore, Che fai?, mi urlo, Esci immediatamente da li, grido, chi ti credi di essere per tagliare i fiori in quel modo?, Chiamo i poliziotti e finirai in riformatorio, il posto che ti meriti; lo guardai, per fortuna non lo conoscevo, e cosi gli urlai, Chiudi il becco, rubare fiori non e un crimine, mi infilai in tasca le grandi forbici, arraffai una bracciata di tulipani con entrambe le mani, un paio rimasero a terra, poi schizzai fuori dall’aiuola sul lato opposto, sentii che mi urlava dietro di vergognarmi per quello che avevo detto, e comunque si era scritto il mio numero di matricola, ma io non mi voltai indietro a guardare, tanto sapevo che non aveva potuto annotarselo perché ero uscito apposta con la giacca senza il numero di matricola scolastico cucito sulla manica, e cosi mi misi a correre sereno verso casa, reggendo i fiori con entrambe le mani per non farli rompere, le corolle dei tulipani si urtavano, ogni tanto mi sfioravano il viso, sentivo le loro larghe foglie frusciare e stormire, spandevano un profumo di erba appena tagliata, pero molto piu intenso.
Appena salito al quarto piano, mi fermai davanti alla porta e mi accovacciai, appoggiai delicatamente i fiori sullo zerbino, poi mi alzai in piedi e socchiusi lentamente la porta, scavalcai i fiori e mi fermai nell’ingresso buio a origliare. La mamma per fortuna non si era ancora svegliata, portai i tulipani direttamente in cucina e li posai sul tavolo, aprii la dispensa, presi sotto la mensola il vaso da cetrioli piu grande, lo misi sotto il rubinetto, lo riempii d’acqua, poi lo appoggiai al centro della tavola e vi sistemai per bene i tulipani, una decina non c’entrarono, li posai nel lavabo, poi tornai al tavolo e provai ad aggiustare il mazzo meglio che potevo ma non riuscii granché, i tulipani, per colpa di tutte quelle foglie, davano un’impressione di disordine, alcuni erano troppo corti, altri troppo lunghi, mi resi conto che bisognava tagliare il gambo a una lunghezza uniforme se volevo che assumessero in qualche modo l’aspetto di un bouquet, allora mi venne in mente che se prendevo il mastello del bucato nello sgabuzzino ci sarebbe stato spazio per tutti, e forse non era neanche necessario tagliare i gambi, tornai nuovamente alla porta della dispensa, la aprii, mi chinai e tirai fuori il mastello da sotto la mensola; fu allora che sentii la porta della cucina aprirsi, sentii anche la mamma che chiedeva, Chi c’e?, C’e qualcuno qui dentro?, non mi aveva visto, perché ero coperto dalla porta della dispensa, ma io la guardai attraverso lo spiraglio, in piedi, scalza, con la sua lunga camicia da notte bianca indosso, quando s’accorse dei tulipani impallidi, si appoggio con una mano allo stipite della porta, apri la bocca, pensai che si mettesse a sorridere ma poi, dall’espressione che fece, sembro piuttosto voler gridare, o urlare, come se fosse arrabbiatissima, o se qualcosa l’avesse molto ferita, digrigno i denti, strinse gli occhi, respiro con affanno, poi guardo lentamente intorno nella cucina e quando noto la porta aperta della dispensa lascio lo stipite, libero il viso dai capelli, fece un lungo respiro e chiese, Figlio mio, sei tu?, allora uscii da dietro la porta della dispensa e mi fermai accanto al tavolo senza dire niente, spiegai che volevo farle una sorpresa, le chiesi, per favore, di non arrabbiarsi, non avevo intenzione di far nulla di male, l’avevo fatto soltanto perché papa mi aveva chiesto di comportarmi da uomo di casa finché non fosse tornato lui; allora vidi che la mamma provo a sorridere, ma si capiva dagli occhi che era ancora triste, disse che non era arrabbiata, no, non era affatto arrabbiata, ripeté con un tono amaro ed estremamente profondo, anzi mi ringraziava tanto, dopo aver detto queste cose s’avvicino, mi abbraccio, non come suo solito, ma molto, molto piu forte, mi strinse a sé con un’energia inusitata, come aveva fatto una volta che ero malato, anch’io la abbracciai, e anch’io la strinsi, sentivo il suo cuore pulsare attraverso i miei vestiti e la sua camicia da notte, mi vennero in mente i tulipani, mi rividi inginocchiato a terra nel parco mentre tagliavo un tulipano dopo l’altro, sentii che la mamma mi stringeva piu forte, allora anch’io la strinsi piu forte, avevo ancora il naso colmo del profumo dei tulipani, di quell’intenso odore di erba fresca, poi m’accorsi che la mamma tremava, sapevo che stava per piangere, sapevo che a quel punto sarei scoppiato a piangere anch’io, e non volevo farlo, ma non potevo sciogliermi da quell’abbraccio, riuscivo solo a stringerla; avrei voluto confortarla, dirle di non essere triste, perché era tutto a posto, ma non riuscii a parlare, non riuscii ad aprir bocca, ebbene fu allora che qualcuno improvvisamente schiaccio il campanello alla porta d’ingresso, premeva deciso con il palmo della mano, il campanello squillo a lungo, faceva un gran chiasso, una volta, due volte, tre volte, sentii che la mamma si staccava da me, fu come se all’improvviso il suo corpo intero si fosse raffreddato, allora anch’io mi distaccai, le dissi di aspettare perché andavo io a vedere chi c’era.
Mentre mi dirigevo verso la porta pensai che fossero sicuramente i poliziotti, perché l’uomo nel parco era riuscito in qualche modo a identificarmi e mi aveva denunciato, e ora eccoli li, erano venuti per me, per arrestarmi, perché avevo danneggiato un bene pubblico raccogliendo i tulipani, a quel punto mi dissi che era meglio non aprire, ma il campanello continuava a squillare, trillava davvero fragorosamente, si erano per giunta messi a bussare, cosi allungai la mano, feci scattare la serratura di sicurezza e aprii la porta.
Non erano i poliziotti, i tizi la in piedi sulla soglia, ma i colleghi di papa, erano gli stessi con cui, a suo tempo, l’avevo visto andarsene via, fui cosi sorpreso che non riuscii a spiccicare parola, allora l’uomo alto con i capelli grigi mi guardo e mi chiese se la mamma era in casa, io annuii col capo, mi venne in mente che forse, tramite loro, papa aveva mandato un regalo per l’anniversario del matrimonio, sicuro che era cosi, e volevo dirgli di entrare perché la mamma sarebbe stata felicissima di vederli, ma non feci in tempo ad aprir bocca che quello con i capelli bianchi mi rimprovero con tono secco, Ti ha fatto una domanda, non hai sentito?, Certo, risposi, si, e in casa, anche l’altro parlo, Allora entriamo, disse quello piu basso, poi mi scosto dalla porta ed entrarono veramente, tutti e due, si fermarono nell’ingresso, il piu basso mi chiese, Qual e la camera di tua madre?, io risposi che la mamma era in cucina e nel frattempo mi mossi per precederli, Ci sono i colleghi di papa, annunciai ad alta voce, hanno sicuramente portato una sua lettera o magari un suo regalo; la mamma stava bevendo un sorso d’acqua dalla tazza a grandi manici che solitamente usavamo per riempire il bollitore del caffe, le sue mani si bloccarono a meta del movimento, mi lancio un’occhiata, poi rivolse lo sguardo ai colleghi di papa accanto a me, la vidi impallidire di colpo, abbasso la tazza, notai che l’espressione della sua bocca s’era indurita come quando era arrabbiata sul serio, gia, proprio cosi, chiese con voce stentorea ai colleghi di papa, Che cosa siete venuti a fare?, sbatté la tazza con i manici sul bancone cosi violentemente che tutta l’acqua residua schizzo fuori, e intimo loro di andarsene via immediatamente, ma i due erano gia entrati dietro di me in cucina, quello alto con i capelli grigi non saluto neppure, Quindi lei non ha spiegato niente al bambino?, chiese senza tanti giri di parole alla mamma, la mamma scosse la testa e disse, Questi non sono affari vostri, ma l’uomo alto con i capelli grigi le disse, E stato un errore non farlo, perché, prima o poi, lui lo verra a sapere, queste cose e meglio affrontarle subito perché la menzogna genera solo menzogna, allora la mamma scoppio a ridere e disse, Si e vero, dimenticavo che voi siete gli amici della verita, allora il piu basso ordino alla mamma di tenere la bocca a freno e la mamma, effettivamente, si zitti, l’uomo con i capelli grigi si pianto davanti a me e mi chiese, Ehi tu, ragazzino, credi ancora che siamo colleghi di tuo padre?, non risposi nulla, ma sentii il mio corpo raggelarsi, come durante l’ora di ginnastica quando finisci il test di corsa e devi piegarti in avanti perché non hai piu aria nei polmoni, il tizio con i capelli grigi allora mi sorrise e disse, A questo punto devi sapere che non siamo colleghi di tuo padre, ma agenti della Securitate, tuo padre e stato arrestato per cospirazione contro lo Stato e per un po’ di tempo sicuramente non lo rivedrai, diciamo pure molto tempo, perché tuo padre sta scavando il Canale Danubio – Mar Nero, ti rendi conto di che cosa significa?, Significa che e in un campo di lavoro e uno imprudente come lui non puo resistere a lungo, non tornera mai piu, anzi, forse e gia bell’e che morto; non appena termino la frase la mamma afferro la tazza dal bancone e la scaglio in terra, frantumandola in mille pezzi, l’ufficiale allora tacque, e per un istante calo il silenzio, Ora basta, sbotto la mamma, dovete smetterla, se volete portare via anche me, fate pure, ma lui, lasciatelo in pace, e solo un bambino, spiegatemi chiaramente le vostre intenzioni, che cosa siete venuti a cercare?
Il piu basso disse che erano passati senza alcuna ragione particolare, ma comunque, gia che si trovavano li, pensavano di dare una occhiatina in giro, chissa, magari trovavano qualcosa di interessante nella stanza del signor dottore.
La mamma allora chiese se avevano un regolare mandato per farlo, quello alto con i capelli grigi sorrise e disse alla mamma che non avevano bisogno di mandati per qualunque sciocchezza, non c’era nulla di male se davano una occhiatina in giro, riteneva che non avessimo nulla da nascondere.
La mamma allora affermo con voce tonante, Non ne avete il diritto, levatevi dai piedi, sparite da casa mia, perché se non lo fate immediatamente vado a sedermi davanti al Palazzo del Municipio, con le braccia incrociate, e rimango la in terra per protesta a chiedere pubblicamente la liberazione di mio marito, lo state trattenendo in stato d’arresto da oltre sei mesi, ma mica potete farlo, cosi, senza un processo né una sentenza, qualunque cosa sia diventato questo Paese esiste ancora una costituzione, ci sono delle leggi, e per una perquisizione domiciliare continua a essere necessario un mandato, quindi o me lo mostrate o smammate.
L’ufficiale con i capelli grigi sorrise alla mamma e disse che tutta quella grinta le donava e sicuramente mio padre, laggiu, al Canale del Danubio, pativa tantissimo la sua mancanza perché lei era una donna stupenda, era un vero peccato che non si sarebbero mai piu rincontrati.
La mamma allora arrossi, il viso le divenne paonazzo, vidi che era tesa in ogni fibra del corpo, pensai che si scagliasse contro l’ufficiale dai capelli grigi e lo schiaffeggiasse, perché credo di non averla mai vista cosi arrabbiata, effettivamente la mamma a quel punto si mosse, ma non ando verso l’ufficiale bensi direttamente alla porta d’ingresso, la apri e disse, Ora basta, fuori di qui, dovevano lasciare immediatamente quella casa perché altrimenti telefonava a suo suocero, loro dovevano saperlo che era stato segretario del Partito, e anche se ormai era in pensione gli erano rimaste le giuste conoscenze altolocate per farli trasferire a dirigere il traffico dopo cio che avevano commesso li dentro, se non volevano quindi fare una brutta fine dovevano andarsene, la mamma lo disse con una tale durezza che quasi quasi ci credetti persino io, pur sapendo che la mamma mai e poi mai avrebbe chiamato di sua spontanea volonta i nonni, perché da quando la nonna le aveva detto in faccia che era una troia ebrea subnormale la mamma non aveva piu rivolto la parola né a lei né al nonno, ma questo non traspariva affatto dal modo in cui la mamma aveva parlato.
Se le cose stanno cosi, replico l’ufficiale piu basso, e se lei crede davvero che al vecchio sia rimasto uno straccio di influenza, soprattutto ora, che suo figlio e stato portato via, beh, si sbaglia di grosso, puo ritenersi fortunato che non abbiano internato pure lui, ma se lei vuole telefonargli e fargli le sue lamentele, prego, s’accomodi, ando al bancone, afferro il cassetto delle posate e lo tiro con forza, con una tale violenza che il cassetto gli rimase in mano, i coltelli, le forchette, i cucchiai e i cucchiaini volarono in tutta la cucina, l’ufficiale sbatté il cassetto vuoto sul bancone, di nuovo, con una tale forza che il bordo posteriore del cassetto si spezzo, e disse, Ecco favorisca, ora c’e sul serio qualcosa di cui lamentarsi, ma questo e solo l’inizio, sicuro, solo l’inizio, vidi che digrignava i denti, pensai che a quel punto rovesciasse il tavolo, ma quello con i capelli grigi gli appoggio una mano sulla spalla e gli disse, Calmati, Gyurka, tranquillo, lascia stare, a quanto pare abbiamo giudicato male la signora, credevamo fosse una donna intelligente, credevamo che sapesse quando e con chi bisogna essere gentili, ma evidentemente non e abbastanza furba per riconoscere i suoi benefattori, vuole ficcarsi nei guai a tutti i costi, su, facciamo come vuole lei. Allora l’ufficiale di nome Gyurka scaglio in terra il cassetto rotto, la, dove c’erano le posate sparpagliate, e disse, Va bene, compagno maggiore, facciamo come desidera lei, andiamocene.
L’ufficiale di nome Gyurka allora guardo la mamma, annui, poi si volto verso di me, e mi disse, Vabbe, ce ne andiamo, ma solo perché ho visto che amate i fiori, e chi ama i fiori, come dice il proverbio ungherese, non puo essere cattivo; si avvicino al tavolo, pensai che volesse spaccare il vaso da cetrioli, invece estrasse semplicemente un fiore, se lo mise sotto al naso, lo annuso, L’unico guaio dei tulipani, disse, e che non hanno profumo, ma a parte questo sono fiori meravigliosi, andiamo compagno maggiore, quello con i capelli grigi non disse nulla, fece soltanto un cenno affermativo con la mano, l’ufficiale di nome Gyurka allora s’avvio verso l’uscita, passando vicino alla mamma le offri il tulipano, la mamma lo prese muta come un pesce, Un fiore a un fiore, disse invece l’ufficiale di nome Gyurka prima di girarsi verso di me, mi guardo, strizzo l’occhio, poi usci dalla porta e scese le scale.
Anche il maggiore usci, la mamma fece per sbattergli la porta alle spalle, ma il maggiore si volto di scatto e pianto il piede sulla soglia in modo che la mamma non potesse chiuderla, Signora, si pentira di tutto questo, disse con tono calmo, perché quando torneremo scoperchieremo il pavimento, staccheremo il mastice dal telaio delle finestre, guarderemo persino sotto la vasca da bagno, o nei rubinetti del gas, smonteremo l’intera casa, e puo stare certa che troveremo cio che cerchiamo, puo starne certa; si giro sui tacchi, e anche lui si avvio giu per le scale.
Sentii il maggiore dire, Arrivederci, la mamma sbatté la porta, si volto, s’abbandono con la schiena contro la porta chiusa, rimase la con il tulipano rosso in mano a fissare i cocci della tazza spaccata, le posate sparse, il cassetto rotto in due, contrasse la bocca, poi lentamente la induri, strinse le labbra, mi guardo, e mi disse con un filo di voce di portarle la scopa e la paletta, Su, raccogliamo i cocci della tazza, io allora lanciai un’occhiata ai tulipani nel vaso da cetrioli la sul tavolo e volevo chiedere alla mamma, Vero che quello che hanno detto gli ufficiali su papa e falso?, Vero che tornera a casa?, ma quando mi voltai verso la mamma vidi che stava stringendo in mano quell’unico tulipano e lo annusava, i suoi occhi luccicavano, erano troppo umidi, capii che riusciva a stento a trattenere le lacrime, e quindi non le chiesi nulla.

Traduzione di Bruno Ventavoli

(c) 2009 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino.